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YOKO & CECELIA IN NAPLES

 

       Mostra Cecelia Marcus                                            Mostra Yoko Wakabayashi

 

 

   Tra le diverse e ottime mostre curate da Sergio Garzia questa, dedicata agli acquerelli di Yoko Wakabayashi e di Cecelia Marcus, appare come una proposta di particolare significato dal momento in cui essa prende in considerazione una tecnica artistica di antica e rinomata tradizione la cui pratica, in Italia, andrebbe seguita con maggiore e rinnovata passione.

   E ciò per più di un motivo. Anzitutto, perché con questa tecnica pittorica di particolare difficoltà si ottengono effetti di luminosità e trasparenza di straordinaria efficacia, tali da considerare l’acquerello come un mezzo particolarmente idoneo per realizzare un’autentica “pittura di luce”.

   La pittura ad acquerello si esegue per velature e non certo per sovrapposizioni di corposi colori, come avviene per la tempera, il guazzo o l’olio; per questo non ammette pentimenti, modifiche e correzioni.

   L’acquerello è affine alla scrittura per l’ immediatezza della realizzazione; non a caso in Oriente scrittura, pittura e disegno sono indicati con un unico termine Hua, in quanto le modalità esecutive sono molto simili.

   La pittura ad acquerello si afferma come autonoma tipologia pittorica solo alla fine del Settecento con acquerellisti del calibro del grande Turner, poi si diffonde in Europa e in America perdendo definitivamente il ruolo preparatorio, preliminare, in forma di studi e bozzetti, dei più grandi svolgimenti della pittura ad affresco, a tempera e a olio.

 

   Per questo le espressioni pittoriche di Yoko e Cecelia, assolutamente non convenzionali ma di sensibilità profonda, vanno seguite con interesse e partecipazione.

   Yoko Wakabayashi testimonia un raffinato paesaggismo che è il risultato di una sentita e finissima registrazione, immediata e diretta, della realtà tesa a rintracciare quel “chiaroscuro della natura” di cui, con rara efficacia, parlava Constable.

   I suoi acquerelli nascono dal vero, en plein air, s’impregnano di costante tonalismo e naturalismo che cogliamo nella limpidezza dei colori e nella freschezza dei toni.

   La facoltà di Yoko di creare immagini ambientali scaturisce dalla assoluta padronanza della complessa tecnica dell’acquerello di cui conosce tutte le possibilità espressive.                 Ecco, allora, l’uso sapiente delle colature e delle macchie espansive e fluide dei colori, dissimulato in piani cromatici ora limpidi e tersi, ora impalpabilmente caliginosi, come ad esempio accade nell’acquerello che rappresenta un boschetto di bambù, laddove Yoko lascia filtrare fenditure di luce tra il cromatismo diluito dell’intensa vegetazione.

   Lo spazio immaginifico degli scenari, suscettibile di espansione fiabesca, s’intreccia con quello delle vestigia storiche del Giappone rese in immagini chiare e serene dove gli elementi di architettura lignea, quali colonne, travature, mensole, sono altrettante accensioni cromatiche in cui predomina un vibrante rosso.

   Si tratta di emozionanti rappresentazioni di una realtà trascorsa e nostalgicamente richiamata nella dimensione indeterminata e ineffabile del linguaggio poetico.

 

   Anche per Cecelia Marcus l’osservazione della realtà s’incontra con una tendenza alla sua trasfigurazione. Ciò avviene, diversamente da Yoko Wakabayashi, con un forte e impetuoso impatto tale da rivelare un carattere pittorico di tipo espressionista. Potremmo dire che Cecelia riduce e condensa l’oggettività della sua percezione del reale a vantaggio dell’intima soggettività dell’espressione che  impregna la sua vigorosa ricerca pittorica.

   Una pittura, dunque, che conferma le radici culturali della sua linea di orientamento espressionista. Naturalmente non si tratta di espressionismo esasperato mutuato sic et simpliciter da un Kirchner o da un Ensor; tutt’altro, la sua è una propria e originale declinazione inedita che si arricchisce di elementi strutturali e compositivi di natura gestaltica.

   Infatti, il linguaggio forte e libero di Cecelia è innervato da linee di forza, da direttrici compositive, da tensioni strutturali che essenzializzano la realtà, rivelandone la substantia, cioè  quella essenza profonda (vuoi dei paesaggi toscani, vuoi delle figure umane), che permane e resiste al fatale cangiamento al quale sono soggette tutte le cose.

   Funzionale a questa resa è la sintassi delle mescolanze cromatiche messe a punto dalla nostra artista: forma e colore s’intrecciano in un condensato e asciutto impianto figurativo, dove si avverte il respiro vitale sia del paesaggio sia dei corpi umani che costituiscono prevalentemente i soggetti delle sue opere.

 

   Yoko e Cecelia, legate da salda amicizia e da comuni esperienze formative, ripropongono con diverse chiavi espressive il valore della bellezza che rintracciano nel diuturno ritrarre paesaggi e corpi. Un valore che sembra definitivamente perduto nel mondo e nell’arte contemporanea, laddove il banale è assunto come valore.

   E se oggi, come sostiene Arthur Danto, la sola via da percorrere, per tracciare un’“estetica del significato”, è la “trasfigurazione del banale” , allora una nuova estetica potrà pure costituirsi partendo dalla banale percezione di un paesaggio o di un corpo, in considerazione del fatto che la percezione dell’artista non porta mai alla copia fedele della realtà, ma sempre alla sua “trasfigurazione”.

   Questa breve riflessione ci porta a cogliere il senso della straordinaria avventura pittorica di Yoko Wakabayashi e di Cecelia Marcus: sguardi, percezioni e registrazioni sensibili, attraverso il consumato uso dell’acquerello. Un itinerario, dunque, in grado di stimolare e rinnovare l’interesse per la bellezza, ora valore ritrovato.

 

 

 Napoli, 27 aprile 2013                                 Franco Lista